Sergio Di Vita, milite ignoto del civismo

10 Feb 2025 | Lost in the stars, Materiale resistente

Note autobiografiche di Sergio inviate da Maria Di Carlo.

In una notte d’estate del 1949, il mondo ebbe un sussulto di gioia pura: “ è nato! Il est né! He is born! Nasceu!”. Aveva nella mano destra una macchina fotografica e nella sinistra una focaccia con la milza; parto impegnativo. Dopo un po’ cambiò idea, il mondo: lui era un essere inquietante; aveva la testa più pesante del resto del corpo (infatti gli raccomandavano sempre di non sporgersi, e da allora soffre di vertigini a partire dal 3° piano), piena di troppe cose, tutte incompiute. Viaggiò dapprima sulla Terra sotto forma di secchione, con un cartello al collo: “potrebbe fare di più, ma si applica poco”. Poi, nel mitico ’68, mentre l’Europa impazzava di fermenti nuovi e invece lui andava ancora travestito da insopportabile primodellaclasse, conobbe delle persone che lo aiutarono a spogliarsi nei limiti del possibile –era un caso disperato- e gli insegnarono altre lingue affascinanti  oltre l’italiano piccoloborghese dei quartieri alti: lingue verbali, corporee, emozionali, spirituali. A costoro, Amici eterni e preziosi, deve una rinascita. Da allora, la testa è ancora piena di troppe cose, e sempre incompiute; ma almeno più vicine al suo Io Superiore.

E così fu e rimane di volta in volta Linus per gioco, Il Plurilaureando frustrato dall’assenza di attitudini specifiche eufemisticamente rinominata eclettismo, il Connettivista fra il serio e il faceto, Congosol seramente e felicemente. E con qualche altra mania: come il canto corale meglio se polifonico e sacro, lo shiatsu, l’ipocondria cronica, l’amore per la Parola e il piacere di imparare ogni tanto una lingua a dispetto dei neuroni in estinzione ripida, i Mac, la politicadalbassoconlaggente, la passione per la psic unita all’antipatia viscerale per gli psic, Glenn Gould e Dmitri Shostakovic e Arvo Part e Giuni Russo, la controinformazione puntigliosa, la religione dell’Amicizia e quella del pensiero presuntuosamente libero, l’antroposofia presa con le pinze.

E da vari anni, altre incompiutezze: la formazione alla nonviolenza, le metodologie decisionali consensuali, e il Teatro dell’oppresso; attuali suoi “arti e mestieri”, conditi dall’onnipresente fotografia e mescolati con tutte le altre cose, in improbabili ma divertenti (forse solo per lui) alchimie. E sempre con una patria di riserva, non si sa mai.

Se non ci hai capito niente, la sensazione è corretta

(contenuta nel libro, scaricabile anche online e gratuitamente, “Quarto potere, quarta parete: esperienze e idee di teatro giornalistico” a cura di Luca Agnelli e Sergio Di Vita)

Addio a Sergio Di Vita, milite ignoto del civismo

di AUGUSTO CAVADI

Quando si sfogliano i quotidiani si resta impressionati dalla marea di cattiverie, di crudeltà, di ingiustizie, di imbrogli, di tradimenti, di falsità, di corruzione, di stupidità, di violenza, di volgarità che ci assedia da ogni lato. Non so a voi, ma a me ogni tanto ritorna una domanda: com’è che ancora reggiamo? Com’è che Palermo, la Sicilia, l’Italia…non sono state ancora sommerse da questo fango tracimante, dilagante, asfissiante? A forza di parassiti che ne succhiano la linfa, l’albero non dovrebbe essere ormai essiccato e abbattuto?

Poi un giorno, così, all’improvviso, ti muore un amico. Per esempio Sergio Di Vita. E allora hai come un’intuizione: come racconta il mito di Colapesce, qualcuno – sommerso sotto la superficie delle onde schiumose – regge una delle colonne su cui galleggia l’isola. In silenzio, quasi nell’anonimato, del tutto ignorato dai riflettori dei media, questo qualcuno c’è. Al risveglio, la mattina, dedica qualche ora alla lettura di Gandhi o di Martin Luther King. Oppure all’ascolto di Bach o di Mozart. Ma non è un orso solitario. Un giorno accoglie un’amica che cerca ascolto attento, paziente. Un altro giorno un amico che soffre di dolori reumatici e vuole provare un po’ di shiatsu praticato con competenza. Una volta a settimana guida un gruppo di amici che vogliono approfondire insieme a lui l’antroposofia di Rudolf Steiner.

E, quando necessario, esce anche da casa. Perché – siamo negli anni Ottanta – ogni giovedì sera ci si riunisce al Palazzo del Comune come Co.c.i.pa (Coordinamento cittadino informazione e partecipazione) per studiare i bilanci preventivi e discuterli con gli assessori dei vari settori. Perché – siamo negli anni Novanta – c’è da affiancare i diseredati concittadini del movimento dei “senza-casa” che chiedono l’assegnazione degli appartamenti sequestrati ai mafiosi.   Perché – siamo all’alba del Terzo millennio – c’è da sostenere il gruppo delle donne di  Benin City, desiderose di riscatto sociale e di inserimento lavorativo nella nuova patria. Già: gli africani. Prima gli italiani o prima gli stranieri? Prima chi soffre di più. Come far udire, da Palermo a Bruxelles, la voce di chi non ha voce? Sergio fonda e gestisce, gratuitamente e quasi da solo,  “Congosol”, un’agenzia d’informazione di prima mano sul Congo.

Tanto impegno sociale non era frutto tanto di emotività, di coinvolgimento sentimentale, ma si basava ancor più su una formazione solida e continua: amava documentarsi incessantemente, leggendo e facendo conoscere – con i suoi seminari, i suoi laboratori e i suoi scritti – autori di ogni parte del mondo. Accademico di nessuna accademia, riteneva che nessuna tematica gli dovesse restare del tutto estranea. Ha attivato e diretto, sino alle ultime ore di vita, presso la “Casa dell’equità e della bellezza”, il “Gruppo di formazione al Teatro degli oppressi (secondo l’insegnamento di Augusto Boal) e alla nonviolenza attiva”, a cui hanno preso parte – in tempi e modi differenti – centinaia di persone. Soprattutto negli ultimi anni evitava di lasciarsi coinvolgere in altre organizzazioni e in altri progetti: “Preferisco fare poche cose, ma con la maggiore serietà di cui sono capace”.

Con lui se ne va uno dei tanti “militi ignoti” della militanza civica di cui non parleranno i libri di storia, a cui forse verrà intestata una stradina di periferia, ma senza i quali sarebbe inspiegabile come mai una città regga al logorio continuo dei furbi, degli approfittatori, degli egoisti perbene. Se ne va uno dei cittadini che, per rievocare la celebre frase di Kennedy, non si chiedono soltanto cosa la società possa fare per loro, ma anche cosa essi possano fare per la società.

www.augustocavadi.com                       La Repubblica- Palermo, 28.2.2020